Oggi sui giornali
Lavoro, disegno di legge o legge delega?
di Enrico Galantini 30 marzo 2012 ore 09.26
Secondo il Sole 24 ore governo ancora incerto sul “veicolo parlamentare” per la riforma. Monti si scusa con le forze politiche. Napolitano elogia ed esorta i sindacati. Lo scoop di Repubblica. A Roma il congresso Ugl DI ENRICO GALANTINI
Mentre Monti scrive da Tokyo al Corriere della Sera per smorzare la polemica con le forze politiche (il presidente del Consiglio si “rammarica” per le “vive reazioni” suscitate in Italia da alcune sue frasi, “tanto più che quelle considerazioni, espresse nel corso di un lungo intervento in inglese, avevano l'obiettivo opposto a quello che, fuori dal contesto, è stato loro attribuito”) e il presidente della Repubblica elogia e richiama all’ordine i sindacati (riporta Avvenire: “L’attiva partecipazione delle organizzazioni sindacali rappresenta per il paese”, in un momento di crisi e di riforme, “una preziosa risorsa per perseguire quella crescita equa e sostenibile di cui l'Italia ha urgente bisogno” rimarca il capo dello Stato, che invita poi le parti sociali a “sviluppare un confronto costruttivo sulle soluzioni da perseguire con forte spirito unitario”), Il Sole 24 ore butta lì in un articolo che ancora non è sicuro che la riforma sarà presentata in Parlamento con un disegno di legge: “Il governo – spiega il quotidiano di Confindustria – è alle prese con il ‘veicolo’ parlamentare al quale affidare il provvedimento e sembra che Monti sia ancora incerto se optare per un Ddl ordinario, un Ddl delega o un Ddl che contenga alcune
deleghe”.
Intanto Repubblica fa l’ennesimo scoop lanciandolo in prima a tutta pagina: “Articolo 18, ecco come cambierà” è il titolo. Nell’articolo si racconta come “da due giorni gli esperti del ministero di Giustizia stanno studiando insieme a quelli del Lavoro un'ipotesi secondo cui dovranno essere i giudici a stabilire, quando si trovano di fronte a un licenziamento per motivi economici, se esso nasconda motivi discriminatori. Nel documento approvato dal governo, invece è il lavoratore che deve dimostrare la discriminazione mentre il giudice non è tenuto a esprimersi su questo punto”. E ancora: “ Ma come si arriva dal giudice? Un'ipotesi è che ci si possa andare automaticamente in tutti i casi di licenziamento individuale, come accade in Germania. In questo caso si toglierebbe al licenziato l'onere della prova. E se il giudice dovesse riconoscere che c'è stata discriminazione, ovviamente scatterebbe anche l'obbligo di reintegro”. È davvero uno scoop? La materia è complessa, la confusione tanta, l’ideologia ancora di più. Ma, a parte l’automaticità del ricorso al giudice (che certo non accorcerebbe i tempi del contenzioso), non vediamo grandi novità e, a meno che per discriminatorio non s’intenda arbitrario (ma è un errore che Repubblica non farebbe mai), nemmeno una possibile efficacia della soluzione.
Nel frattempo, il cuore del dibattito sindacale s’è spostato all’Hotel Ergife di Roma, dove è iniziato il terzo congresso nazionale dell’Ugl, il primo del “dopo Polverini”. Sono intervenuti ieri Bonanni (“se l'Esecutivo accetterà il reintegro sui licenziamenti economici, come prevede il modello tedesco, (ed è invece escluso dalla bozza Fornero) il problema è risolto. E si può iniziare la battaglia per la crescita” e Angeletti (“riformare l'articolo 18 non crea lavoro né risolve i problemi delle imprese visto che non c'entra nulla con la questione della mobilità in entrata e in uscita. Si tratta solo di una questione di potere e di gerarchia all'interno del posto di lavoro. E solo i cretini continuano a dire cose che non conoscono”). Domani interverrà Susanna Camusso, che ieri, da Milano, ha ricordato la responsabilità delle Camere: “Pensiamo che il Parlamento – ha detto – abbia il dovere morale, non il dovere tecnico, di guardare a cosa pensa il paese e a cosa pensano i lavoratori”.
Dicevamo del congresso dell’Ugl all’Ergife. “Nei due mesi di tavoli sulla riforma del lavoro (‘la parola mercato è brutta, fa pensare che le persone sono merci’), Centrella è diventato un personaggio – scrive Massimo Franchi sull’Unità di oggi –. In conferenza stampa è sempre in sintonia con Susanna Camusso e, da destra, scavalcava a sinistra Bonanni e Angeletti. Ieri è stato osannato dai suoi mille delegati quando, non seguendo il testo scritto del suo discorso, ha ammesso: ‘Sull'articolo 18 ho cambiato idea’. Spiegando dopo: ‘Su questo si è determinata una spaccatura delle organizzazioni sindacali, che mi auguro possa essere sanata, arrivando ad una soluzione condivisa da tutti, compresa la Cgil, come stiamo facendo con le pensioni’. E ancora: ‘Le modifiche che non siamo riusciti ad ottenere al tavolo, ci auguriamo le facciano le forze politiche in Parlamento. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, ma siamo anche pronti a manifestare, come ha deciso di fare la Cgil’”.
deleghe”.
Intanto Repubblica fa l’ennesimo scoop lanciandolo in prima a tutta pagina: “Articolo 18, ecco come cambierà” è il titolo. Nell’articolo si racconta come “da due giorni gli esperti del ministero di Giustizia stanno studiando insieme a quelli del Lavoro un'ipotesi secondo cui dovranno essere i giudici a stabilire, quando si trovano di fronte a un licenziamento per motivi economici, se esso nasconda motivi discriminatori. Nel documento approvato dal governo, invece è il lavoratore che deve dimostrare la discriminazione mentre il giudice non è tenuto a esprimersi su questo punto”. E ancora: “ Ma come si arriva dal giudice? Un'ipotesi è che ci si possa andare automaticamente in tutti i casi di licenziamento individuale, come accade in Germania. In questo caso si toglierebbe al licenziato l'onere della prova. E se il giudice dovesse riconoscere che c'è stata discriminazione, ovviamente scatterebbe anche l'obbligo di reintegro”. È davvero uno scoop? La materia è complessa, la confusione tanta, l’ideologia ancora di più. Ma, a parte l’automaticità del ricorso al giudice (che certo non accorcerebbe i tempi del contenzioso), non vediamo grandi novità e, a meno che per discriminatorio non s’intenda arbitrario (ma è un errore che Repubblica non farebbe mai), nemmeno una possibile efficacia della soluzione.
Nel frattempo, il cuore del dibattito sindacale s’è spostato all’Hotel Ergife di Roma, dove è iniziato il terzo congresso nazionale dell’Ugl, il primo del “dopo Polverini”. Sono intervenuti ieri Bonanni (“se l'Esecutivo accetterà il reintegro sui licenziamenti economici, come prevede il modello tedesco, (ed è invece escluso dalla bozza Fornero) il problema è risolto. E si può iniziare la battaglia per la crescita” e Angeletti (“riformare l'articolo 18 non crea lavoro né risolve i problemi delle imprese visto che non c'entra nulla con la questione della mobilità in entrata e in uscita. Si tratta solo di una questione di potere e di gerarchia all'interno del posto di lavoro. E solo i cretini continuano a dire cose che non conoscono”). Domani interverrà Susanna Camusso, che ieri, da Milano, ha ricordato la responsabilità delle Camere: “Pensiamo che il Parlamento – ha detto – abbia il dovere morale, non il dovere tecnico, di guardare a cosa pensa il paese e a cosa pensano i lavoratori”.
Dicevamo del congresso dell’Ugl all’Ergife. “Nei due mesi di tavoli sulla riforma del lavoro (‘la parola mercato è brutta, fa pensare che le persone sono merci’), Centrella è diventato un personaggio – scrive Massimo Franchi sull’Unità di oggi –. In conferenza stampa è sempre in sintonia con Susanna Camusso e, da destra, scavalcava a sinistra Bonanni e Angeletti. Ieri è stato osannato dai suoi mille delegati quando, non seguendo il testo scritto del suo discorso, ha ammesso: ‘Sull'articolo 18 ho cambiato idea’. Spiegando dopo: ‘Su questo si è determinata una spaccatura delle organizzazioni sindacali, che mi auguro possa essere sanata, arrivando ad una soluzione condivisa da tutti, compresa la Cgil, come stiamo facendo con le pensioni’. E ancora: ‘Le modifiche che non siamo riusciti ad ottenere al tavolo, ci auguriamo le facciano le forze politiche in Parlamento. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, ma siamo anche pronti a manifestare, come ha deciso di fare la Cgil’”.
Archiviato in:
Italia

leggi i commenti | lascia un commento |
Dopo la sentenza del giudice, l'azienda chiuderà l'Altoforno 2, tutta l'acciaieria numero 1, metà dell'acciaieria numero 2 e altri impianti minori. No di Fiom, Fim e Uil: “Al tavolo con governo e Mittal chiederemo con forza di fare chiarezza”