Analisi
Da Pomigliano a Mirafiori, l'anno che ha cambiato la Fiat
di Maurizio Minnucci, rassegna.it 11 gennaio 2011 ore 18.32
Gli accordi separati e i referendum, le proteste della Fiom, lo scontro con Marchionne. L'addio a Termini Imerese e i licenziati di Melfi. I giorni che hanno modificato per sempre il ruolo del Lingotto in Italia nella cronaca e nelle analisi degli esperti

Il prologo risale a gennaio 2009 con l'accordo separato sui contratti: l'unità sindacale va in frantumi proprio mentre la crisi morde, soprattutto sull'industria. È in questo scenario che Sergio Marchionne inizia a preparare la sua partita. In quel periodo il manager italo-canadese rivolge tutte le attenzioni all'estero fino al matrimonio con la Chrysler. Forte di quell'accordo, poi, si concentra sulla produzione interna dove ci sono nodi non semplici da sciogliere. Pubblichiamo qui la cronostoria del 2010, con i fatti principali corredati dalle analisi e dai commenti degli esperti, per fornire un quadro complessivo sui giorni che hanno stravolto le relazioni industriali nel nostro paese.
Lo si capisce già a gennaio che nella Fiat globale l’Italia conta poco: la casa torinese, ormai, non pensa più a se stessa come alla maggiore impresa metalmeccanica italiana, ora Fiat Group tiene insieme la serba Zastava con l’americana Chrysler e sceglie di tagliare le fabbriche italiane del Sud. Mesi di stallo, poi a febbraio la Fiat "ferma i motori" per tutti gli operai messi in cassa integrazione per due settimane e si comincia a parlare di Pomigliano. Ad aprile arriva il piano industriale (i cui dettagli non sono mai stati illustrati): "Prendere o lasciare", dice Marchionne che avverte: “Va sostenuto, altrimenti ce n’è un altro non molto bello": c'è lo scorporo dell’auto, il raddoppio della produzione italiana entro il 2014 e "niente tagli di organici". Ma Termini chiude, non si torna indietro. È la "doppia mossa" di Marchionne: lo spin off riguarda i settori a più alta redditività come i veicoli industriali, le macchine agricole e il movimento terra.
Il passo successivo riguarda proprio lo stabilimento campano, dove la trattativa si svolge tra maggio e giugno con Marchionne che avverte: "L'accordo è urgente, impossibile accettare ulteriori ritardi". La firma porta la data del 15 giugno: 18 turni di lavoro, niente pause pranzo durante i turni, deroga al diritto di sciopero, 120 ore di straordinario e sanzioni in caso di proteste (testo completo). "È un segnale forte di arretramento e rischia di creare un precedente pericoloso per tutte le categorie. Qui la vera partita si sta giocando non sull’occupazione ma sui diritti", afferma il sociologo Luciano Gallino in una nostra intervista. Al referendum di pochi giorni dopo vince il sì, ma non è un plebiscito. "Dalla fabbrica alla giungla": Camusso, Tronti, Gallino e Di Nicola ci spiegano cosa cambia: "La Fiat commette un errore; i lavoratori si accorgeranno che il sistema è massacrante, che li fa ammalare, allora si rivolteranno anche senza sindacato".
Logica conseguenza, l'inasprimento del conflitto con la Fiom: a luglio scoppia la grana Melfi: tre operai (di cui due delegati delle tute blu Cgil) vengono licenziati "per avere bloccato un carrello dentro la fabbrica". Loro replicano: "Accuse false". E il 16 luglio tutti in sciopero. Sempre a luglio (siamo al 21) e Fiat approva la scissione: via libera del Cda, nascono due società e la produzione auto è divisa da quella industriale. È "l’anno zero di Marchionne", spiega il docente universitario Aldo Enrietti: "Le relazioni in Fiat sono davvero poca cosa, l’azienda ha disperso tutto il capitale delle professionalità. Dall’altra parte si continua a ragionare come se la Fiat fosse quella di due anni fa, invece è cambiato tutto".
A fine luglio c'è anche il via libera alla newco per Pomigliano, dove "la trasformazione del lavoro prevista dall’accordo renderà lo stabilimento del napoletano il più neofordista della galassia Fiat", osserva il sociologo Patrizio Di Nicola in un'analisi sul modello Wcm e sul sistema Ergo-Uas. "Prima hanno mandato via i colleghi anziani, memoria storica della fabbrica, per annullare il conflitto. Poi è arrivato il piano di 'rieducazione'. Hanno giocato sul clima di paura": è la voce Mario Di Costanzo, operaio dello stabilimento campano, che ci racconta un un'intervista com'è la vita in fabbrica. Un altro sguardo lo abbiamo pubblicato riportando il carteggio Ichino-Leonardi: il senatore Pd si confronta col ricercatore Ires. Tra i temi: assenteismo, deroghe al contratto, ammortizzatori sociali, diritti e conflitto in fabbrica.
Passiamo a ottobre: il 5 c'è il primo vertice sul piano "Fabbrica Italia" da 20 miliardi di euro. Il Lingotto lo dice ancora una volta: "Vogliamo la garanzia di poter governare gli stabilimenti". La Fiom risponde: "Siamo disponibili al confronto, ma il modello non sia Pomigliano". Soddisfatta la Fim, meno la Uilm. Il 16 è la volta dell'orgoglio dei metalmeccanici, con la manifestazione della Fiom in cui Landini chiede lo sciopero generale, mentre Epifani lascia la guida della Cgil a Susanna Camusso. Nel frattempo anche a Melfi il clima si surriscalda: nello stabilimento lucano della Sata si lavora apertamente col modello campano, che l'azienda ha applicato retroattivamente. "Il clima è peggiorato – dicono gli operai – e le intimidazioni dei capi sono ormai all'ordine del giorno".
Poi la bufera su Marchionne: è il 25 ottobre e l'ad del Lingotto, ospite in tv da Fabio Fazio, dice: "L'Italia è un peso, non possiamo gestire in perdita le nostre fabbriche per sempre, dal nostro paese non arriva un euro di utile". Qualche giorno dopo l'amministratore delegato fa una parziale marcia indietro, ma intanto è già pronto il nuovo piano su Mirafiori, dove la trattativa salta il 3 dicembre. L'azienda lascia il tavolo di confronto senza accordo: "Non esistono le condizioni per realizzare il piano di rilancio". Cisl e Uil minimizzano e sono pronte a firmare.
Parentesi su Termini Imerese: cauto ottimismo il 21 dicembre quando il ministro Romani presenta le offerte per l'area siciliana e tutti i sindacati sembrano soddisfatti delle prospettive. Ma passano solamente due giorni e arriva l'accordo separato di Mirafiori. Chi non firma è fuori dalla rappresentanza (il testo completo e una sintesi dei punti principali). "Mirafiori salta nel buio", scrive per rassegna.it Giovanni Rispoli che pone una serie di quesiti: "E se lo scambio "americano" tra diritti e occupazione alla fine fosse inutile? Qual è la verità di Fabbrica Italia? Il dubbio è che Torino sia solo una stazione. E che il treno, tirato da una competizione sempre più al ribasso, sia diretto altrove".
Il resto è cronaca di questi giorni, con tutti gli occhi puntati sul referendum di Torino del 13 e 14 gennaio, il clima teso della campagna elettorale e operai in lacrime sulle prime pagine dei giornali. In una lettera di 46 economisti sul conflitto Fiat-Fiom si afferma che "produrre auto in Europa è possibile se c'è un forte impegno di ricerca e sviluppo, innovazione e investimenti attenti alla sostenibilità ambientale". La Cgil e le tute blu si chiariscono, la rivista Micromega promuove l'appello di Camilleri, Flores d'Arcais e Hack:"Sì ai diritti, No ai ricatti". Adesso si vota.
Lo si capisce già a gennaio che nella Fiat globale l’Italia conta poco: la casa torinese, ormai, non pensa più a se stessa come alla maggiore impresa metalmeccanica italiana, ora Fiat Group tiene insieme la serba Zastava con l’americana Chrysler e sceglie di tagliare le fabbriche italiane del Sud. Mesi di stallo, poi a febbraio la Fiat "ferma i motori" per tutti gli operai messi in cassa integrazione per due settimane e si comincia a parlare di Pomigliano. Ad aprile arriva il piano industriale (i cui dettagli non sono mai stati illustrati): "Prendere o lasciare", dice Marchionne che avverte: “Va sostenuto, altrimenti ce n’è un altro non molto bello": c'è lo scorporo dell’auto, il raddoppio della produzione italiana entro il 2014 e "niente tagli di organici". Ma Termini chiude, non si torna indietro. È la "doppia mossa" di Marchionne: lo spin off riguarda i settori a più alta redditività come i veicoli industriali, le macchine agricole e il movimento terra.
Il passo successivo riguarda proprio lo stabilimento campano, dove la trattativa si svolge tra maggio e giugno con Marchionne che avverte: "L'accordo è urgente, impossibile accettare ulteriori ritardi". La firma porta la data del 15 giugno: 18 turni di lavoro, niente pause pranzo durante i turni, deroga al diritto di sciopero, 120 ore di straordinario e sanzioni in caso di proteste (testo completo). "È un segnale forte di arretramento e rischia di creare un precedente pericoloso per tutte le categorie. Qui la vera partita si sta giocando non sull’occupazione ma sui diritti", afferma il sociologo Luciano Gallino in una nostra intervista. Al referendum di pochi giorni dopo vince il sì, ma non è un plebiscito. "Dalla fabbrica alla giungla": Camusso, Tronti, Gallino e Di Nicola ci spiegano cosa cambia: "La Fiat commette un errore; i lavoratori si accorgeranno che il sistema è massacrante, che li fa ammalare, allora si rivolteranno anche senza sindacato".
Logica conseguenza, l'inasprimento del conflitto con la Fiom: a luglio scoppia la grana Melfi: tre operai (di cui due delegati delle tute blu Cgil) vengono licenziati "per avere bloccato un carrello dentro la fabbrica". Loro replicano: "Accuse false". E il 16 luglio tutti in sciopero. Sempre a luglio (siamo al 21) e Fiat approva la scissione: via libera del Cda, nascono due società e la produzione auto è divisa da quella industriale. È "l’anno zero di Marchionne", spiega il docente universitario Aldo Enrietti: "Le relazioni in Fiat sono davvero poca cosa, l’azienda ha disperso tutto il capitale delle professionalità. Dall’altra parte si continua a ragionare come se la Fiat fosse quella di due anni fa, invece è cambiato tutto".
A fine luglio c'è anche il via libera alla newco per Pomigliano, dove "la trasformazione del lavoro prevista dall’accordo renderà lo stabilimento del napoletano il più neofordista della galassia Fiat", osserva il sociologo Patrizio Di Nicola in un'analisi sul modello Wcm e sul sistema Ergo-Uas. "Prima hanno mandato via i colleghi anziani, memoria storica della fabbrica, per annullare il conflitto. Poi è arrivato il piano di 'rieducazione'. Hanno giocato sul clima di paura": è la voce Mario Di Costanzo, operaio dello stabilimento campano, che ci racconta un un'intervista com'è la vita in fabbrica. Un altro sguardo lo abbiamo pubblicato riportando il carteggio Ichino-Leonardi: il senatore Pd si confronta col ricercatore Ires. Tra i temi: assenteismo, deroghe al contratto, ammortizzatori sociali, diritti e conflitto in fabbrica.
Passiamo a ottobre: il 5 c'è il primo vertice sul piano "Fabbrica Italia" da 20 miliardi di euro. Il Lingotto lo dice ancora una volta: "Vogliamo la garanzia di poter governare gli stabilimenti". La Fiom risponde: "Siamo disponibili al confronto, ma il modello non sia Pomigliano". Soddisfatta la Fim, meno la Uilm. Il 16 è la volta dell'orgoglio dei metalmeccanici, con la manifestazione della Fiom in cui Landini chiede lo sciopero generale, mentre Epifani lascia la guida della Cgil a Susanna Camusso. Nel frattempo anche a Melfi il clima si surriscalda: nello stabilimento lucano della Sata si lavora apertamente col modello campano, che l'azienda ha applicato retroattivamente. "Il clima è peggiorato – dicono gli operai – e le intimidazioni dei capi sono ormai all'ordine del giorno".
Poi la bufera su Marchionne: è il 25 ottobre e l'ad del Lingotto, ospite in tv da Fabio Fazio, dice: "L'Italia è un peso, non possiamo gestire in perdita le nostre fabbriche per sempre, dal nostro paese non arriva un euro di utile". Qualche giorno dopo l'amministratore delegato fa una parziale marcia indietro, ma intanto è già pronto il nuovo piano su Mirafiori, dove la trattativa salta il 3 dicembre. L'azienda lascia il tavolo di confronto senza accordo: "Non esistono le condizioni per realizzare il piano di rilancio". Cisl e Uil minimizzano e sono pronte a firmare.
Parentesi su Termini Imerese: cauto ottimismo il 21 dicembre quando il ministro Romani presenta le offerte per l'area siciliana e tutti i sindacati sembrano soddisfatti delle prospettive. Ma passano solamente due giorni e arriva l'accordo separato di Mirafiori. Chi non firma è fuori dalla rappresentanza (il testo completo e una sintesi dei punti principali). "Mirafiori salta nel buio", scrive per rassegna.it Giovanni Rispoli che pone una serie di quesiti: "E se lo scambio "americano" tra diritti e occupazione alla fine fosse inutile? Qual è la verità di Fabbrica Italia? Il dubbio è che Torino sia solo una stazione. E che il treno, tirato da una competizione sempre più al ribasso, sia diretto altrove".
Il resto è cronaca di questi giorni, con tutti gli occhi puntati sul referendum di Torino del 13 e 14 gennaio, il clima teso della campagna elettorale e operai in lacrime sulle prime pagine dei giornali. In una lettera di 46 economisti sul conflitto Fiat-Fiom si afferma che "produrre auto in Europa è possibile se c'è un forte impegno di ricerca e sviluppo, innovazione e investimenti attenti alla sostenibilità ambientale". La Cgil e le tute blu si chiariscono, la rivista Micromega promuove l'appello di Camilleri, Flores d'Arcais e Hack:"Sì ai diritti, No ai ricatti". Adesso si vota.
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