I media e le tasse
Totò, Fabrizi e gli evasori Vip
di Antonio Zollo 27 ottobre 2011 ore 18.26
Le cronache non fanno che consolidare nei decenni postbellici l’immagine di uno Stato buono con gli evasori, cattivo, crudele e sadico con gli onesti; debole con i forti, forte con i deboli DI ANTONIO ZOLLO

Marcella Bella (cantante) e Alberto Aleotti (big della farmaceutica); Paolo Maldini e Francesco Totti, idoli calcistici di Milano e Roma; la lista Falciani – circa 7000 evasori – con una lunga sfilza di vip e 120 Procure che indagano; Silvio e Piersilvio Berlusconi; Cesare Pambianchi, potente capo dei commercianti romani, e la “cricca di Arzignano”, un’allegra brigata di evasori veneti. E ancora: Ornella Muti e Renato Zero, Dolce&Gabbana, Vasco Rossi e Massimo Boldi, Fabrizio Corona e Lele Mora. E, prima di loro, Luciano Pavarotti, Valentino Rossi e Alberto Tomba. Per i media, l’evasore fiscale fa notizia quando è famoso e si fa prendere con le mani nella marmellata. Titoloni per un paio di giorni e poi si passa ad altro.
A meno che... A meno che la vicenda non si presenti come una sorta di perfetta sovrapposizione tra realtà e fiction, come accadde con la notizia perfetta, offerta al circuito dell’informazione il 19 maggio 1982, quando Sofia Loren fu arrestata all’aeroporto di Fiumicino, in esecuzione di un mandato d’arresto per una sentenza, andata in giudicato, che la condannava a 30 giorni di carcere e 12 milioni di ammenda per evasione fiscale: il fisco e la legge fecero la faccia feroce con l’icona, non soltanto cinematografica, degli italiani, facendola assurgere al ruolo di eroina.
Durò, del resto, poco perché la faccia feroce è di per sé una sorta di recitazione, cosa ben diversa dal rigore e dalla severità delle norme e della loro applicazione che fanno del principio secondo il quale “la legge è uguale per tutti”, una pratica naturale, non un esercizio a corrente alternata. E difatti, Sofia Loren, uscì dal carcere di Caserta con 13 giorni di anticipo. Erano – riferiscono le cronache – le 6,20 del mattino del 5 giugno 1982, ma all’esterno del carcere l’attendevano oltre 100 tra giornalisti, fotografi e tele-cine-operatori convenuti da tutto il mondo, Giappone compreso, naturalmente.
Se non è un eroe/eroina – oggetto persino di ammirazione e invidia – chi non paga le tasse è una sorta di “evasore della porta accanto”, degno almeno di un po’ della nostra simpatia. Questo, in effetti, è il prototipo che un altro media, il cinema, ci consegna nella figura del bottegaio Pezzella, cavalier Torquato (Totò), perseguitato dal maresciallo della tributaria Fabio Topponi (Aldo Fabrizi) nel film di Steno del 1959 I tartassati. Titolo emblematico, che sembra consacrare i ruoli capovolti: l’evasore è un perseguitato, lo Stato un persecutore.
In questa rappresentazione c’è del vero, comunque, perché le cronache non fanno che consolidare nei decenni postbellici l’immagine di uno Stato buono con gli evasori, cattivo/crudele/sadico con gli onesti; debole con i forti, forte con i deboli. Un sistema dell’informazione – quello più tradizionale e diretto, stampa e tv – privo di reale e robusta autonomia, ma spesso succubo e in rapporti incestuosi con il potere politico/finanziario – non offre la narrazione di uno Stato equo e rigoroso, implacabile con i disonesti, quanto più questi sono sfacciati e potenti.
Viceversa, quetso sistema vive di episodi clamorosi e caduchi (quanti grandi evasori restano davvero in carcere e pagano tutto il dovuto?) dentro una trama fitta e continua di debolezze e complicità, alias condoni fiscali ed edilizi, che prevaricano i comportamenti virtuosi. In effetti, l’informazione – la grande informazione che ama autodefinirsi libera e indipendente dai partiti – è troppo spesso rappresentazione acritica di un relativismo etico, a sua volta specchio di un fatalismo diffuso – così lo definisce Ilvio Diamanti, uno di più lucidi analisti dell’Italia contemporanea – che porta buona parte della società ad essere indulgente/ammirata/indifferente: indulgente e ammirata verso i furbi, indifferente verso i morti sul lavoro e la marginalizzazione dei più deboli.
È la parte di società e il relativismo etico che Silvio Berlusconi ha fiutato e intercettato al volo; come, in precedenza, aveva fiutato al volo che era tempo di mietere, con le tv commerciali, nel florido campo degli investitori pubblicitari che inutilmente facevano la fila alle porte di un monopolio pubblico (la Rai) supponente e borioso, per comprare un siparietto del mitico Carosello.
I condoni sono il risultato di questa combinazione tra gli inconfessabili interessi di una robusta porzione di società e chi se ne fa mallevadore. L’informazione – priva di una sua missione autonoma – registra e magari enfatizza, esalta. Nonostante il condono sia la legittimazione dell’illecito, un gettare la spugna, una resa senza dignità. Non è un caso se il cerchio si chiude con un uso farsesco dello stesso sistema dell’informazione: da una parte i condoni, dall’altra la trastula degli spot pubblicitari come arma di fine di mondo contro l’evasione fiscale. C’è un precedente, si fa per dire illustre.
A metà degli anni Novanta, il ministero delle Finanze pensò di andare nelle scuole a spiegare perché bisogna pagare le tasse. Lo fece con un video tratto, pensate un po’, dal film di Totò ed Aldo Fabrizi. Si dirà: quel video certamente faceva ridere più dello spot che oggi passa in tv. vero, ma è altrettanto tragicamente vero che anche in tema di fisco, questo paese e il suo sistema dell’informazione debbono ancora cercare e conquistare il proprio riscatto.
A meno che... A meno che la vicenda non si presenti come una sorta di perfetta sovrapposizione tra realtà e fiction, come accadde con la notizia perfetta, offerta al circuito dell’informazione il 19 maggio 1982, quando Sofia Loren fu arrestata all’aeroporto di Fiumicino, in esecuzione di un mandato d’arresto per una sentenza, andata in giudicato, che la condannava a 30 giorni di carcere e 12 milioni di ammenda per evasione fiscale: il fisco e la legge fecero la faccia feroce con l’icona, non soltanto cinematografica, degli italiani, facendola assurgere al ruolo di eroina.
Durò, del resto, poco perché la faccia feroce è di per sé una sorta di recitazione, cosa ben diversa dal rigore e dalla severità delle norme e della loro applicazione che fanno del principio secondo il quale “la legge è uguale per tutti”, una pratica naturale, non un esercizio a corrente alternata. E difatti, Sofia Loren, uscì dal carcere di Caserta con 13 giorni di anticipo. Erano – riferiscono le cronache – le 6,20 del mattino del 5 giugno 1982, ma all’esterno del carcere l’attendevano oltre 100 tra giornalisti, fotografi e tele-cine-operatori convenuti da tutto il mondo, Giappone compreso, naturalmente.
Se non è un eroe/eroina – oggetto persino di ammirazione e invidia – chi non paga le tasse è una sorta di “evasore della porta accanto”, degno almeno di un po’ della nostra simpatia. Questo, in effetti, è il prototipo che un altro media, il cinema, ci consegna nella figura del bottegaio Pezzella, cavalier Torquato (Totò), perseguitato dal maresciallo della tributaria Fabio Topponi (Aldo Fabrizi) nel film di Steno del 1959 I tartassati. Titolo emblematico, che sembra consacrare i ruoli capovolti: l’evasore è un perseguitato, lo Stato un persecutore.
In questa rappresentazione c’è del vero, comunque, perché le cronache non fanno che consolidare nei decenni postbellici l’immagine di uno Stato buono con gli evasori, cattivo/crudele/sadico con gli onesti; debole con i forti, forte con i deboli. Un sistema dell’informazione – quello più tradizionale e diretto, stampa e tv – privo di reale e robusta autonomia, ma spesso succubo e in rapporti incestuosi con il potere politico/finanziario – non offre la narrazione di uno Stato equo e rigoroso, implacabile con i disonesti, quanto più questi sono sfacciati e potenti.
Viceversa, quetso sistema vive di episodi clamorosi e caduchi (quanti grandi evasori restano davvero in carcere e pagano tutto il dovuto?) dentro una trama fitta e continua di debolezze e complicità, alias condoni fiscali ed edilizi, che prevaricano i comportamenti virtuosi. In effetti, l’informazione – la grande informazione che ama autodefinirsi libera e indipendente dai partiti – è troppo spesso rappresentazione acritica di un relativismo etico, a sua volta specchio di un fatalismo diffuso – così lo definisce Ilvio Diamanti, uno di più lucidi analisti dell’Italia contemporanea – che porta buona parte della società ad essere indulgente/ammirata/indifferente: indulgente e ammirata verso i furbi, indifferente verso i morti sul lavoro e la marginalizzazione dei più deboli.
È la parte di società e il relativismo etico che Silvio Berlusconi ha fiutato e intercettato al volo; come, in precedenza, aveva fiutato al volo che era tempo di mietere, con le tv commerciali, nel florido campo degli investitori pubblicitari che inutilmente facevano la fila alle porte di un monopolio pubblico (la Rai) supponente e borioso, per comprare un siparietto del mitico Carosello.
I condoni sono il risultato di questa combinazione tra gli inconfessabili interessi di una robusta porzione di società e chi se ne fa mallevadore. L’informazione – priva di una sua missione autonoma – registra e magari enfatizza, esalta. Nonostante il condono sia la legittimazione dell’illecito, un gettare la spugna, una resa senza dignità. Non è un caso se il cerchio si chiude con un uso farsesco dello stesso sistema dell’informazione: da una parte i condoni, dall’altra la trastula degli spot pubblicitari come arma di fine di mondo contro l’evasione fiscale. C’è un precedente, si fa per dire illustre.
A metà degli anni Novanta, il ministero delle Finanze pensò di andare nelle scuole a spiegare perché bisogna pagare le tasse. Lo fece con un video tratto, pensate un po’, dal film di Totò ed Aldo Fabrizi. Si dirà: quel video certamente faceva ridere più dello spot che oggi passa in tv. vero, ma è altrettanto tragicamente vero che anche in tema di fisco, questo paese e il suo sistema dell’informazione debbono ancora cercare e conquistare il proprio riscatto.
Archiviato in:
Tasse bene comune
,
Cultura
,
Italia

leggi i commenti | lascia un commento |
Lo ha comunicato il direttore operativo nel corso dell'incontro in Federlegno. È l'equivalente della metà della forza lavoro dell'azienda. I sindacati chiedono la convocazione immediata della cabina di regia "per dare futuro e certezze ai lavoratori"