L'incontro
Da Bridgestone a Solvay, l'industria che trema
di Roberto Greco 12 dicembre 2013 ore 18.24
Oltre 500 sindacalisti provenienti da tutto il paese e appartenenti ai settori della chimica, dell'energia, del sistema moda e manifatturiero a confronto su crisi, vertenze, ristrutturazioni, delocalizzazioni. Miceli (Filctem): 180mila lavoratori colpiti

Un report preciso e articolato della crisi che sta vivendo larga parte dell'industria italiana. Questa è stata l'assemblea nazionale di quadri e delegati della Filctem Cgil ("Diario dentro e oltre la crisi"), che si è tenuta stamattina a Roma. Oltre 500 sindacalisti provenienti da tutto il paese e appartenenti ai settori della chimica, dell'energia, del sistema moda e manifatturiero hanno affollato la sala del teatro Ambra Jovinelli, e la dozzina di delegati che è salita sul palco per raccontare la propria esperienza ha elencato singole vertenze e drammi collettivi di interi territori, i cui numeri fanno rabbrividire: "Dal 2008 ad oggi – ha specificato il segretario generale di categoria Emilio Miceli (podcast) – la crisi ha già coinvolto complessivamente più di 180.000 lavoratori, 70.000 nel tessile, poi 12.000 nella ricerca farmaceutica con 8.000 informatori scientifici a casa, e ancora 6.000 nella raffinazione, 10.000 nel sistema termoelettrico, e via discorrendo. Perlopiù si tratta di licenziamenti, mobilità, esuberi, casse integrazioni, processi di ristrutturazione, contratti di solidarietà. Per questo, dobbiamo difendere le tante filiere produttive e batterci contro le delocalizzazioni di aziende con destinazione Cina, Romania, Serbia, ma anche la vicina Svizzera, pena il rischio di non essere più un paese industriale".
In apertura, Giovanni Santi della Filctem di Prato, ha ricordato il rogo avvenuto il 1° dicembre in un capannone tessile alla periferia della cittadina toscana, che ha causato la morte di sette operai cinesi. "Una tragedia che deve far riflettere su un fenomeno iniziato trent'anni fa, che oggi vede lavorare in quella provincia 15.000 cinesi in regola accanto ad altrettanti, se non di più, clandestini, che lavorano a cottimo 13-14 ore al giorno in condizioni di schiavitù, tanto che si parla di distretto industriale parallelo, con una produzione di un milione di pezzi al giorno per un ricavato di un milione di euro. Un fenomeno di cui le autorità locali sono a conoscenza e che continua a proliferare per la scarsità dei controlli, sia in materia di lavoro nero che di contraffazione dei prodotti, per l'omertà di quei lavoratori che, in quanto ricattati, hanno paura a denunciare i propri sfruttatori. Tuttavia, qualche nota positiva c'è. Negli ultimi giorni la comunità cinese, colpita dal dramma, ha cambiato atteggiamento e nelle manifestazioni che si sono tenute nella zona hanno partecipato sia lavoratori cinesi che lavoratori locali".
"Quello di Prato è un buco nero – ha precisato Miceli –, dove lo Stato non ha alcuna giurisdizione nè controllo, paragonabile solo a quanto avviene in Bangladesh, dove multinazionali come la Nike sfruttano i bambini. Ragion per cui la Filctem si costituirà parte civile al processo, per un rinnovato impegno del sindacato contro la schiavitù e per la dignità del lavoro".
Patrizia Fabietti ha parlato dell'ultima crisi, in ordine di tempo, che ha colpito il 'perimetro Filctem': quella che ha coinvolto La Perla di Bologna, di cui è delegata sindacale. Vicenda iniziata nel '94 con la prima ristrutturazione, e che nell'arco di un ventennio ha ridotto il personale da 1.600 addetti in tre stabilimenti agli attuali 580, operanti in un unico impianto. L'accordo-ponte per due anni, firmato al ministero del Lavoro a giugno, fa ben sperare e ha evitato il fallimento di una produzione made in Italy e di qualità alta: "Questo – sottolinea la sindacalista della Filctem –, grazie alla lotta delle lavoratrici che hanno presentato un contropiano industriale, accettato dal nuovo imprenditore italiano che ha rilevato l'azienda, con una nuova organizzazione del lavoro che ha già permesso il rientro in fabbrica di una parte dei nostri colleghi finiti in cig".
Buone notizie anche dalla Bridgestone di Bari, dove è stata scongiurata la preventivata chiusura dello storico impianto (nato 50 anni fa), annunciata a marzo dalla multinazionale giapponese dei pneumatici. "Da subito – rileva il delegato Alfredo Rescigno –, ci siamo mobilitati come Rsu e sindacato contro tale decisione, e grazie anche all'aiuto delle istituzioni locali abbiamo costretto il gruppo ad aprire un tavolo negoziale, che ha portato poi all'accordo del 30 settembre al Mise, con prospettive per il futuro. Abbiamo perso molti posti di lavoro, ma lasciare aperto lo stabilimento vuol dire dare una speranza di ripresa e possibilità di nuova occupazione. Ciò dimostra che se si fa politica industriale con un piano preciso e con il sostegno di tutti, è possibile mantenere le produzioni anche a Sud".
Una vertenza ancora aperta è quella della Solvay-Solexis di Milano, la multinazionale belga che opera nel comparto della chimica e delle materie plastiche, di cui ha riferito Andrea Capelli. "Nel 2010 è partita la ristrutturazione con la vendita del comparto farmaceutico, il più redditizio, e lo scorso anno è stata acquisita Rhodia, società chimica di specialità, assieme all'avvio della cig per molti di noi. La riorganizzazione continua anche oggi, così come persistono i rischi occupazionali che coinvolgono i 2.200 addetti, ma grazie al nostro lavoro, il peggio sembra alle spalle: abbiamo creato un coordinamento Rsu in tutti e 12 gli impianti italiani e siamo intervenuti su materie come salute, sicurezza e ambiente, con la conferma dei relativi investimenti".
Non va altrettanto bene in Sardegna, come dimostra l'intervento di Benedetta Cappai, delegata alla Sarmed nel Sulcis Iglesiente. "La nostra area è sempre più povera e stiamo pagando il prezzo più grave della crisi, con il più alto tasso di disoccupazione dell'isola e tutte le industrie in difficoltà, se non già chiuse, vedi Alcoa o Euroallumina, passata da 655 addetti fra diretti e indiretti agli attuali 305 tutti in cig, mentre sull'orlo del fallimento è la Carbosulcis, l'industria mineraria con 454 addetti".
Altrettanto critica è la situazione del cosiddetto ciclo del cloro, dove la vertenza della Vinyls è diventata un simbolo della lotta dei 500 addetti, ripartiti fra gli stabilimenti di Porto Torres, Ravenna e Porto Marghera. A nome di quest'ultimo, l'intervento della delegata Nicoletta Zago: "La nostra tragedia dura da cinque anni. Dicono tutti che la chimica è strategica, ma tutti i governi che si sono succeduti ci hanno preso in giro, perchè la chimica di base è morta per volontà politica dell'Eni. La nostra produzione di Pvc, pari al 30 per cento del mercato nazionale, era essenziale, tanto è vero che ora siamo costretti a importarla dall'estero a costi infinitamente maggiori, mentre noi, dopo cinque anni di lotte e occupazioni siamo finiti commissariati e da un anno non percepiamo più neanche i soldi della cig e se non si troveranno acquirenti tra sei mesi scatterà la mobilità per tutti".
Lina Pasto, delegata del Nerviano Medical Sciences (alle porte di Milano), il più grosso centro di ricerche e sviluppo di farmaci oncologici in Italia e uno dei più importanti in Europa (con 575 dipendenti, dei quali 170 ricercatori), ricorda come la proprietà, oberata dai debiti della precedente gestione, avesse deciso di dismettere l'azienda nel 2010. "Grazie alle nostre lotte, però, la vicenda si è conclusa positivamente, dopo molti mesi passati senza stipendio. Decisivo è stato il nuovo piano industriale nazionale, con gli accordi stipulati con la Servier, società europea leader nella ricerca e con la società americana biotech Ignyta, nonchè l'alleanza con le istituzioni locali".
E inoltre si è parlato – lo ha fatto il delegato Gianluca Zanieri – della vertenza Richard Ginori di Sesto Fiorentino, rilevata dal gruppo Gucci, che ha permesso di salvare 230 dei 312 addetti, con gli altri reintegrati in aziende del comprensorio provinciale; della Mcs (ex Marzotto) di Valdagno (Vicenza), salvata, come ha rilevato il delegato Giuliano Ezzelini Storti, grazie all'impegno di Rsu e sindacati e alle 80 ore di sciopero a oltranza effettuate, con il 95 per cento di adesioni tra gli addetti. "Una scelta vincente, che ha permesso di recuperare 120 posti di lavoro con il contratto di solidarietà e nessuna delle mobilità, che aveva proposto inizialmente l'azienda: dal disastro sociale alla vittoria, come testimonia il referendum sull'accordo raggiunto con il 97 per cento di sì".
Michaela Rusu, infine, ha snocciolato i dati sulla crisi del distretto della ceramica di Civita Castellana (Viterbo), il primo riconosciuto dalla Regione, formato da tante piccole e medie imprese: "Dal 2008 ad oggi sopravvive la metà delle aziende, 35 su 70, mentre da 3.500 lavoratori siamo scesi a 2.300; per tutti gli altri sono stati attivati gli ammortizzatori sociali. Uno scenario apocalittico che va avanti da oltre un decennio. Per uscirne, servirebbe un piano per l'occupazione, puntando sulla riconversione industriale e la valorizzazione del made in Italy".
In conclusione, il segretario generale Cgil, Susanna Camusso (qui il podcast integrale), ha evidenziato la necessità di una nuova politica industriale per il paese, accompagnata dal rifinanziamento degli ammortizzatori sociali: senza queste due priorità, che il governo deve affrontare con urgenza, non ci sono prospettive per il lavoro e c'è il rischio della desertificazione produttiva per il nostro paese, come testimoniano le tante situazioni di crisi elencate oggi all'assemblea della Filctem. "Non si può uscire dalla crisi senza un nuovo intervento pubblico, senza investimenti mirati. E non ci sarà il cambiamento nè sviluppo se non si punta sul lavoro, se non si parla di reddito di lavoratori e pensionati, se ci si occupa di speculazioni finanziarie, se si punta solo sul principio dell'offerta anzichè parlare di domanda, come fa la Legge di stabilità. La strada delle privatizzazioni, che Letta ha imboccato solo per fare cassa e colmare i buchi di bilancio provocati dall'Imu, non è quella giusta: non lo è per un'azienda in particolare, l'Eni, che tra le imprese pubbliche è la più grande e quella che remunera di più il suo azionista, vale a dire lo Stato. Come si fa a parlare di green economy se poi concretamente non s'investe in quel campo e nel contempo si dismette un settore strategico come la chimica?"
In apertura, Giovanni Santi della Filctem di Prato, ha ricordato il rogo avvenuto il 1° dicembre in un capannone tessile alla periferia della cittadina toscana, che ha causato la morte di sette operai cinesi. "Una tragedia che deve far riflettere su un fenomeno iniziato trent'anni fa, che oggi vede lavorare in quella provincia 15.000 cinesi in regola accanto ad altrettanti, se non di più, clandestini, che lavorano a cottimo 13-14 ore al giorno in condizioni di schiavitù, tanto che si parla di distretto industriale parallelo, con una produzione di un milione di pezzi al giorno per un ricavato di un milione di euro. Un fenomeno di cui le autorità locali sono a conoscenza e che continua a proliferare per la scarsità dei controlli, sia in materia di lavoro nero che di contraffazione dei prodotti, per l'omertà di quei lavoratori che, in quanto ricattati, hanno paura a denunciare i propri sfruttatori. Tuttavia, qualche nota positiva c'è. Negli ultimi giorni la comunità cinese, colpita dal dramma, ha cambiato atteggiamento e nelle manifestazioni che si sono tenute nella zona hanno partecipato sia lavoratori cinesi che lavoratori locali".
"Quello di Prato è un buco nero – ha precisato Miceli –, dove lo Stato non ha alcuna giurisdizione nè controllo, paragonabile solo a quanto avviene in Bangladesh, dove multinazionali come la Nike sfruttano i bambini. Ragion per cui la Filctem si costituirà parte civile al processo, per un rinnovato impegno del sindacato contro la schiavitù e per la dignità del lavoro".
Patrizia Fabietti ha parlato dell'ultima crisi, in ordine di tempo, che ha colpito il 'perimetro Filctem': quella che ha coinvolto La Perla di Bologna, di cui è delegata sindacale. Vicenda iniziata nel '94 con la prima ristrutturazione, e che nell'arco di un ventennio ha ridotto il personale da 1.600 addetti in tre stabilimenti agli attuali 580, operanti in un unico impianto. L'accordo-ponte per due anni, firmato al ministero del Lavoro a giugno, fa ben sperare e ha evitato il fallimento di una produzione made in Italy e di qualità alta: "Questo – sottolinea la sindacalista della Filctem –, grazie alla lotta delle lavoratrici che hanno presentato un contropiano industriale, accettato dal nuovo imprenditore italiano che ha rilevato l'azienda, con una nuova organizzazione del lavoro che ha già permesso il rientro in fabbrica di una parte dei nostri colleghi finiti in cig".
Buone notizie anche dalla Bridgestone di Bari, dove è stata scongiurata la preventivata chiusura dello storico impianto (nato 50 anni fa), annunciata a marzo dalla multinazionale giapponese dei pneumatici. "Da subito – rileva il delegato Alfredo Rescigno –, ci siamo mobilitati come Rsu e sindacato contro tale decisione, e grazie anche all'aiuto delle istituzioni locali abbiamo costretto il gruppo ad aprire un tavolo negoziale, che ha portato poi all'accordo del 30 settembre al Mise, con prospettive per il futuro. Abbiamo perso molti posti di lavoro, ma lasciare aperto lo stabilimento vuol dire dare una speranza di ripresa e possibilità di nuova occupazione. Ciò dimostra che se si fa politica industriale con un piano preciso e con il sostegno di tutti, è possibile mantenere le produzioni anche a Sud".
Una vertenza ancora aperta è quella della Solvay-Solexis di Milano, la multinazionale belga che opera nel comparto della chimica e delle materie plastiche, di cui ha riferito Andrea Capelli. "Nel 2010 è partita la ristrutturazione con la vendita del comparto farmaceutico, il più redditizio, e lo scorso anno è stata acquisita Rhodia, società chimica di specialità, assieme all'avvio della cig per molti di noi. La riorganizzazione continua anche oggi, così come persistono i rischi occupazionali che coinvolgono i 2.200 addetti, ma grazie al nostro lavoro, il peggio sembra alle spalle: abbiamo creato un coordinamento Rsu in tutti e 12 gli impianti italiani e siamo intervenuti su materie come salute, sicurezza e ambiente, con la conferma dei relativi investimenti".
Non va altrettanto bene in Sardegna, come dimostra l'intervento di Benedetta Cappai, delegata alla Sarmed nel Sulcis Iglesiente. "La nostra area è sempre più povera e stiamo pagando il prezzo più grave della crisi, con il più alto tasso di disoccupazione dell'isola e tutte le industrie in difficoltà, se non già chiuse, vedi Alcoa o Euroallumina, passata da 655 addetti fra diretti e indiretti agli attuali 305 tutti in cig, mentre sull'orlo del fallimento è la Carbosulcis, l'industria mineraria con 454 addetti".
Altrettanto critica è la situazione del cosiddetto ciclo del cloro, dove la vertenza della Vinyls è diventata un simbolo della lotta dei 500 addetti, ripartiti fra gli stabilimenti di Porto Torres, Ravenna e Porto Marghera. A nome di quest'ultimo, l'intervento della delegata Nicoletta Zago: "La nostra tragedia dura da cinque anni. Dicono tutti che la chimica è strategica, ma tutti i governi che si sono succeduti ci hanno preso in giro, perchè la chimica di base è morta per volontà politica dell'Eni. La nostra produzione di Pvc, pari al 30 per cento del mercato nazionale, era essenziale, tanto è vero che ora siamo costretti a importarla dall'estero a costi infinitamente maggiori, mentre noi, dopo cinque anni di lotte e occupazioni siamo finiti commissariati e da un anno non percepiamo più neanche i soldi della cig e se non si troveranno acquirenti tra sei mesi scatterà la mobilità per tutti".
Lina Pasto, delegata del Nerviano Medical Sciences (alle porte di Milano), il più grosso centro di ricerche e sviluppo di farmaci oncologici in Italia e uno dei più importanti in Europa (con 575 dipendenti, dei quali 170 ricercatori), ricorda come la proprietà, oberata dai debiti della precedente gestione, avesse deciso di dismettere l'azienda nel 2010. "Grazie alle nostre lotte, però, la vicenda si è conclusa positivamente, dopo molti mesi passati senza stipendio. Decisivo è stato il nuovo piano industriale nazionale, con gli accordi stipulati con la Servier, società europea leader nella ricerca e con la società americana biotech Ignyta, nonchè l'alleanza con le istituzioni locali".
E inoltre si è parlato – lo ha fatto il delegato Gianluca Zanieri – della vertenza Richard Ginori di Sesto Fiorentino, rilevata dal gruppo Gucci, che ha permesso di salvare 230 dei 312 addetti, con gli altri reintegrati in aziende del comprensorio provinciale; della Mcs (ex Marzotto) di Valdagno (Vicenza), salvata, come ha rilevato il delegato Giuliano Ezzelini Storti, grazie all'impegno di Rsu e sindacati e alle 80 ore di sciopero a oltranza effettuate, con il 95 per cento di adesioni tra gli addetti. "Una scelta vincente, che ha permesso di recuperare 120 posti di lavoro con il contratto di solidarietà e nessuna delle mobilità, che aveva proposto inizialmente l'azienda: dal disastro sociale alla vittoria, come testimonia il referendum sull'accordo raggiunto con il 97 per cento di sì".
Michaela Rusu, infine, ha snocciolato i dati sulla crisi del distretto della ceramica di Civita Castellana (Viterbo), il primo riconosciuto dalla Regione, formato da tante piccole e medie imprese: "Dal 2008 ad oggi sopravvive la metà delle aziende, 35 su 70, mentre da 3.500 lavoratori siamo scesi a 2.300; per tutti gli altri sono stati attivati gli ammortizzatori sociali. Uno scenario apocalittico che va avanti da oltre un decennio. Per uscirne, servirebbe un piano per l'occupazione, puntando sulla riconversione industriale e la valorizzazione del made in Italy".
In conclusione, il segretario generale Cgil, Susanna Camusso (qui il podcast integrale), ha evidenziato la necessità di una nuova politica industriale per il paese, accompagnata dal rifinanziamento degli ammortizzatori sociali: senza queste due priorità, che il governo deve affrontare con urgenza, non ci sono prospettive per il lavoro e c'è il rischio della desertificazione produttiva per il nostro paese, come testimoniano le tante situazioni di crisi elencate oggi all'assemblea della Filctem. "Non si può uscire dalla crisi senza un nuovo intervento pubblico, senza investimenti mirati. E non ci sarà il cambiamento nè sviluppo se non si punta sul lavoro, se non si parla di reddito di lavoratori e pensionati, se ci si occupa di speculazioni finanziarie, se si punta solo sul principio dell'offerta anzichè parlare di domanda, come fa la Legge di stabilità. La strada delle privatizzazioni, che Letta ha imboccato solo per fare cassa e colmare i buchi di bilancio provocati dall'Imu, non è quella giusta: non lo è per un'azienda in particolare, l'Eni, che tra le imprese pubbliche è la più grande e quella che remunera di più il suo azionista, vale a dire lo Stato. Come si fa a parlare di green economy se poi concretamente non s'investe in quel campo e nel contempo si dismette un settore strategico come la chimica?"
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